“Nello specchio della fatica il proprio volto. Nel silenzio e nell’indifferenza dei propri sogni.”
La gara inizia molto tempo prima del giorno della partenza.
Inizia nella testa, inizia nel cuore, inizia sotto una pioggia battente alla quale si è ormai abituati, la quale bagna soltanto l’asfalto e poco altro.
La mia gara è iniziata con un infortunio, al ginocchio destro più precisamente, il quale mi ha costretto a stare fermo circa sette mesi.
Il primo passo per guarire, mi dissi, è riconoscere e accettare di essere infortunati, inutile forzare, inutile tentare di accelerare i tempi o credere di stare perdendo qualcosa. Bisognava attendere con pazienza, rispettando se stessi e il proprio corpo.
La risonanza magnetica non era di certo incoraggiante, ma non sarebbe servito a molto pensare di non farcela o peggio ancora di non essere più in grado di correre.
Nonostante cercassi di darmi parecchio da fare per mantenermi allenato con gli esercizi mirati di ginnastica e allungamento in palestra e con alcune sessioni in acqua in piscina, non notavo miglioramenti al ginocchio e la perdita dei progressi fatti fino a quel punto era purtroppo per me evidente.
Verso la fine di Novembre effettuai la visita ortopedica di controllo e il Prof.re Lelli di Bologna che mi visitò mi chiese se avessi intenzione di rifare una ultramaratona come il Passatore.
Gli risposi immediatamente che se fossi stato in grado l’avrei rifatta senza ombra di dubbio perché sarebbe stato un mio grande desiderio.
Mi fornì indicazioni precise per sviluppare al meglio la muscolatura delle gambe per cercare di salvaguardare il più possibile le ginocchia, le quali egli purtroppo confermò il loro stato non particolarmente in salute.
Mi salutò dicendomi che secondo lui avrei potuto riprendere a allenarmi la sera stessa. Avevo tentato già diverse volte a riprendere, ma ogni volta il ginocchio si bloccava dolorosamente dopo appena un chilometro, quella sera invece non successe nulla.
Sentivo che non era perfettamente funzionante, ma perlomeno non mi faceva più quel male insopportabile che non mi permetteva di correre.
Il momento più difficile mi sembrava superato, mancavano sei mesi alla gara, potevo tentare, anche se le premesse non erano di certo le più incoraggianti.
Avevo forse superato l’infortunio, ma ero nel frattempo aumentato sei chili di peso e coprivo al massimo una distanza di otto chilometri, non senza faticare.
Porto un grande rispetto per tutte le distanze, anche le più esigue e contenute, perché nessuna di queste è scontata e acquisendo le più brevi, facendole proprie, si è poi in grado di raggiungere traguardi più distanti.
È facile dimenticarsi di quanto siano impegnativi pochi chilometri, piccoli percorsi, brevi distanze alle quali non si presta la dovuta attenzione.
Un lungo infortunio, uno stop forzato, possono riportarle alla luce attraverso le nostre ceneri e fornire loro la dignità che invece, come qualunque distanza, si meritano. Stare molto tempo fermi rimette in discussione ogni risultato raggiunto, demotivando e dando però allo stesso tempo gli strumenti per ricostruirsi così come già si era riusciti a fare in passato.
Ripercorrere lo stesso sentiero a volte permette di osservare meglio qualcosa che al primo passaggio era sfuggito. Decisi di iscrivermi alla gara, nonostante le prime uscite “ufficiali” fossero davvero poco convincenti, specialmente perché non riuscivo a ricavarne nessun divertimento.
Ogni allenamento e ogni gara di avvicinamento mi procuravano molta sofferenza, sicuramente perché chiedevo troppo a un fisico non più abituato a certi tipi di sforzi. Non potevo però esimermi dall’affrontare certi passaggi, i quali erano il minimo indispensabile per poter cercare di ambire a raggiungere il traguardo di Faenza.
Non avevo confessato a molti di essere nuovamente alle prese con la preparazione della 100 km.
C’è stato anche chi mi sentenziò dicendomi che questa volta non ce l’avrei fatta e che era troppo rischioso partecipare.
“Può darsi” rispondevo guardando altrove, cercando di minimizzare i problemi che sarebbero potuti presentarsi, ma dentro di me, da qualche parte dove non poteva sentirmi nessuno mi dicevo “Stai a guardare. Perché ti faccio vedere come si fa”.
Lo pensavo non tanto per un’inutile presunzione fine a se stessa, piuttosto per farmi forza e per darmi un sostegno. Sapevo anche io che non avevo più la preparazione dell’anno precedente e che avrei dovuto fare affidamento su qualcosa di diverso e sull’esperienza.
Alla prima partecipazione potevo immaginare che mi avrebbe fatto male, questa volta avevo l’indiscutibile vantaggio di averne la certezza e sapere inoltre anche quando e dove.
Nutro molta ammirazione per la 100km del Passatore, sono di origine faentina da parte di padre e a Faenza e Brisighella ho molti ricordi di infanzia.
Questa corsa fa parte del mio corredo genetico, è un’anima di questa città, dove se ne parla ogni giorno, è quasi un’unità di misura per pesare le persone.
Ogni faentino conosce la 100, non perché gliel’hanno raccontata, ma perché la vive e la sente quotidianamente.
Fare parte di questa corsa, presentarmi alla linea di partenza è per me un privilegio, un atto di amore verso il mio territorio, una ricerca di qualcosa che mi identifica e mi appartiene.
Ci sono momenti durante il lungo percorso che passano veloci, leggeri, impalpabili. Altri, invece, si imprimono nella corteccia cerebrale, li si attende con le grandi aspettative del bambino, del grande sognatore, del giovane illuso.
Lungo la discesa nella notte il vento soffia caldo e il suo alito profuma il volto, accarezza i campi, muove le coltivazioni, increspa l’acqua, pizzica le setole del bestiame e mastica un bacio evanescente sulle guance di chi corre.
E se qualcuno sta correndo in quella notte così piena di spirito e di fatiche, sta sicuramente anche combattendo.
Combattendo contro il proprio destino, contro le proprie decisioni, contro le proprie parole, specialmente contro quelle che non ha mai avuto il coraggio di pronunciare.
Quel corridore di certo combatte per capire qualcosa di se stesso, cancellando molte cose, forse tutto il resto.
Si rimane sempre soli a un certo punto, nel buio pesto e insondabile della fatica, a guardarsi negli occhi nello spazio di un sussurro.
E vedersi per ciò che davvero si è, attraverso la sofferenza e il dolore, anche solo per un attimo, non a tutti può fare piacere.
Il posto dove si scopre qualcosa è quello dove si vuole ritornare. È dove mi sono visto così da vicino da dirmi “tu sei questo”, è lì che voglio ritornare.
Anche adesso, mentre mi alleno e ripenso al tempo trascorso, guardo i campi dove il granoturco è già alto e dove non si riesce a distinguere nulla attraverso il muro dei fusti delle piante che blocca ogni sguardo.
Se fosse il mio destino come quel campo di granoturco, così vicino al lato della strada, così alla mia portata al punto da sentirne il calore evaporare dal suo nutrimento eppure così impenetrabile, silenzioso, invalicabile. Così indifferente nel pieno dei suoi giorni.
Loris Berardi
Durissima prova oggi! Faceva molto caldo (31 gradi alla partenza). Da Firenze a Faenza passando per il passo della colla quota 915metri. 100 km con i primi 48 in salita. Il garmin in totale mi ha dato 1528 metri di dislivello positivo e circa 7000 calorie bruciate. Credo che se dovessimo paragonarla ad una corsa in piano sarebbero stati almeno 120km.
Fortunatamente grosse crisi non le ho avute ma a 200 metri dal traguardo un crampo allucinante al polpaccio sx mi ha bloccato per un paio di minuti!
Quando corri di notte in mezzo al niente, al buio con la sola torcia frontale e con già 70 km sulle gambe ti domandi spesso se ce la farai o no.
Beh io ce lo fatta! Io c’ero!
Ivano Melchiorre
Dopo un vorticoso 2015 occupato per metà a raggiungere l’obiettivo dell’ironman, raggiunto con la chiusura dell’IM di Zurigo di luglio, mi ero deciso di tornare al salutare ritmo di una maratona all’anno.
Facendo fede al mio principio alla Paganini… ovvero che la stessa maratona non si ripete…ad inizio anno avevo pianificato di puntare sulla Barchi-Fano una delle maratone che mi mancavano all’appello.
Passo un inverno di allenamenti blandi, sono sempre stato un po’ allergico alle tabelle anche se rispettoso dei ritmi e del kilometraggio che comunque una 42 impone. Mi affido per convenienza alle tabelle derivanti dal metodo FIRST (http://www.runnersworld.it/metodo-first-per-la-maratona) che di fatto prescrive solo 3 allenamenti a settimana: ripetute il martedì… medio veloce il giovedì… lungo la domenica.
Arrivo così senza molta convinzione a Maggio e a quel punto guardando il calendario mi parte un’idea un po’ incosciente: partecipare al Passatore di fine mese. Lo schema mentale a quel punto era quello “del passo alla volta”… prima l’8/5 la Collemar-athon poi la settimana dopo la mezza maratona del sale di Cervia poi entro martedì 18/5 la decisione.
Così a 10 giorni dalla partenza mi iscrivo e mi ritrovo dentro ad una sfida che sulla carta appariva più tosta dell’ironman.
Nella realtà per uno come me che non aveva mai superato la soglia dei 42,195 la sfida aveva un unico obiettivo: arrivare a Faenza.
Senza nulla togliere all’impresa se la si guarda con l’obiettivo di arrivare cambia un po’ tutto… anche il Passatore si è adeguato alla commercializzazione delle “sfide impossibili per atleti improbabili” e il tempo massimo è fissato ad oggi a 20h. Il che si traduce in un ritmo da 5 km all’ora: detto in poche parole una persona che se la cammina tutta in modo brillante la può portare a casa.
Forte di queste piccole convinzioni l’ultima settimana preparo la gara mentalmente fissando l’obiettivo delle 15h e provando anche nelle ultime sgambate il ritmo in collina di passo e in pianura di corsa trattenuta: tutto mi sembrava raggiungibile.
Tutto questo mi ha portato ad affrontare il pregara e la gara stessa con molta tranquillità. Contro di me avevo il non rispetto di una qualsiasi tabella per ultramaratona che prevede per lo meno un lunghissimo da 60km; a mio favore le 20 maratone e i triathlon conclusi.
L’arma letale contro l’ansia però è l’affetto e l’appoggio familiare: Giulia la mia compagna mi avrebbe seguito… una garanzia per affrontare la sfida con assoluta tranquillità e calore.
A Firenze in mezzo alla calura della partenza incontro altri compagni di squadra e di avventura… Ivano alla sua prima come me… Fabio alla sua seconda prova… e Mistro che meglio definirei “il Maestro” forte dei suoi 8 passatori e dei suoi utili consigli che mi snocciola mentre ci incamminiamo verso via dei Calzaiuoli.
Si parte alle 15.00 sotto sole e caldo estivi e il ritmo dei primi 4-5 km è basso per le strozzature del percorso. Rispetto fedelmente la mia tabella ovvero appena arrivo all’attacco della salita per Fiesole inizio una camminata veloce: il caldo è opprimente…la salita è abbastanza tosta … il correre avrebbe fatto guadagnare poco tempo a discapito di molta fatica. L’impostazione mentale che mi impongo è più rivolta all’efficienza: minimizzare le risorse per raggiungere il risultato.
Altro elemento cruciale l’alimentazione e l’idratazione: bere molto (fino a 3 bicchieri) ogni 5km ai ristori e alimentarsi: i ristori sono ben forniti e conservo un gel della GU (i miei preferiti!) come backup nel taschino.
Dopo Fiesole il percorso diventa più dolce e si può riprendere a camminare con giudizio avendo cura sempre di porre attenzione alle salitelle che io, come il demonio, esorcizzo passando a camminare.
Arrivati sulla Faentina (Vetta alle Croci) la strada inizia la discesa verso il Mugello e qui si corre regolari fino a Borgo San Lorenzo dove si passa per il centro e da dove la strada inizia prima ad appiattirsi poi a salire.
All’uscita di Borgo l’incontro con “il Triva”: l’instacabile fotografo e supporter della squadra e poi più in là verso Panicaglia il primo verticale con Giulia e Valentina che mi dà un po’ di conforto.
La salita della Colla la cammino tutta come da previsione… devo dire piacevolissima la salita passata a chiacchierare con gli altri podisti… il superamento in salita del cartello dei 42, le mie colonne d’Ercole, è abbastanza anonimo. Al 46° faccio scattare il gel per prepararmi alla ripresa della corsa.
Alla Colla ho inviato tramite il servizio della corsa lo zaino con il cambio… decido di sostituire i calzini asciugandomi i piedi e trattandoli con abbondante Pevaryl per scongiurare le vesciche. Sotto alla canottiera PPS mi metto una tecnica a maniche lunghe mentre i pantaloncini della X-Bionic decido di portarli a Faenza con me. Reintegro il gel della GU di backup che avevo appena consumato.
Il cambio è abbastanza concitato … lo spazio per cambiarsi non è molto e alla fine passa circa un quarto d’ora come previsto.
L’inizio della discesa coincide anche con il mio riprendere a correre, sono le 21, ormai è buio e il traffico delle macchine in colonna non è certo un bell’accompagnamento. Dopo 3 km dalla cima è previsto il 2° incontro con Giulia… questo insieme al fresco… all’anticipo di 1 ora rispetto alla tabella prevista mi dà morale.
Il percorso della 2° parte del Passatore è un lento degrado verso la Romagna, la discesa si fa sentire subito poi anche il suo effetto benefico si compensa con la stanchezza e il mio passo di corsa rallenta.
Gli incontri con Giulia sono fissati ogni 5 o 10 km e sono, insieme ai ristori, un’oasi fisica e mentale.
Ecco io credo che il passatore inizi proprio qui da dopo Marradi… superato il 60° si inizia a fare il conto con stanchezza e anche con un po’ di noia. Chi ne ha è qui che può iniziare il suo recupero di posizioni… chi corre per arrivare inizia a ragionare con meccanismi di sopravvivenza che significa iniziare a camminare al minimo accenno di schiena della strada. Proprio in mezzo a questi pensieri mi passa Loris, compagno di squadra, con un passo importante e regolare.
Io traccheggio mi alimento ma non riesco più a variare il ritmo… scivolo apaticamente verso una corsetta che si confonde con una camminata veloce. Tutto questo fino all’82° dove, passato un ristoro, vivo la crisi vera. Ringrazio che in quel punto ci fosse Giulia che mi dà conforto… non riesco più a tenere la testa alta in un misto di nausea e vuoto. Prendo la decisione giusta nel “concimare” il campo di ulivi a fianco e il gesto mi fa sentire subito meglio anche se mi lascia in un mare di brividi di freddo. Riesco a cambiarmi la tecnica e mi metto anche un antivento e un cappello invernale, poi riparto pieno di dubbi.
La paura mi farà camminare per 10 km fino a Brisighella prima da solo con un passo incerto e poi in compagnia di Valentina (figlia di Giulia … il supporter del supporter!).
Arrivato a Brisighella tutto è passato e l’ultima decina di km mi convince a riprendere la corsa.
Il mio finale è un crescendo di “velocità”… a conferma, ancora una volta, che la mente è sovrana nel gesto di endurance. Accompagnato dal mio “tittare” il gel di backup, chiudo l’ultimo km a 5’ e 18’’ in 13h e 40 circa con gli abbracci dei supporter PPS e con la felicità di aver aggiunto la medaglia a me più cara … quella che profuma di casa (la mia Romagna) e di impresa (una 100!!!).
In breve alcune mie personalissime considerazioni per chi volesse cimentarsi nel Passatore:
- Siete un maratoneta seriale ? O comunque avete già passato diversi muri del 32° ? Allora non massacratevi di allenamenti lunghi
- La Collemar-athon è ottima per percorso e vicinanza di calendario come tappa di allenamento
- Imponetevi un ritmo raggiungibile… fatevi una tabella (magari un po’ al di sotto delle vs possibilità)… vi servirà come traccia e allenamento anche mentale pre-gara
- Curate l’alimentazione… ovvero mangiate regolarmente ad ogni ristoro e portatevi con voi una barretta o un gel come backup per le crisi di mezzo. Gel e barrette dovrebbero essere già testati in precedenti gare o allenamenti per non avere sorprese. Per attenuare il problema del troppo dolce, che prima o poi affiora con il passare dei km, io sono riuscito a ingurgitare un po’ di brodo e a mangiare un piatto di pasta con il parmigiano.
- Curate maniacalmente l’idratazione… bevete spesso non saltate ristori. Vi accorgerete anche da quanta poca pipì farete che quell’acqua è fondamentale per il vostro corpo
- Non vi fate spaventare dal numero di km … 100 detti così fanno paura… in realtà questa non è il doppio e un po’ di una maratona… questa non è una vera e propria gara… questo è più un viaggio notturno
- Almeno una volta nella vita: fatelo.
Enrico Baldisserri